Al tramonto tutti volgono lo sguardo verso il sole che cala, come da abitudine. È un gesto naturale, quasi rituale: attendere che il disco infuocato scivoli dietro l’orizzonte, lasciando dietro di sé un bagliore che sembra respirare.

Mi capita spessissimo però che, proprio in quell’istante, mi volto e lo spettacolo è ancora più sorprendente: nuvole accese da colori inattesi, sfumature violacee e rosate che dipingono il cielo come un’opera d’arte silenziosa.

Mentre tutti guardano ciò che ci si aspetta di guardare, scopro l’inaspettato.

L’abitudine può velare lo sguardo, può rendermi cieca all’insolito, all’eccezionale che si nasconde appena un passo oltre ciò che considero ovvio.

Mi focalizzo sempre sulla stessa direzione, quella che tutti indicano, quella che tutti celebrano e rischio di perdere ciò che, discretamente, brilla altrove.

Il tramonto “posteriore” pochi lo guardano e spesso l’incanto non è dove mi aspetto, ma dove sono disposta a cercare.

Cambio prospettiva, un semplice gesto: mi giro e scopro una realtà più ricca e sorprendente di quella routinaria.

Guardare l’ovvio mi fa perdere l’eccezionale.

Il mondo non finisce dove si posa lo sguardo comune, ma continua, luminoso, proprio dietro di me.