Quando esce bianco grigiastro dall’uovo, le zampette palmate sono già rosa.
Sono i più antichi vegetali del pianeta. Già 450 milioni di anni fa vivevano nei mari e negli oceani fino alle profondità raggiunte dai raggi del sole. E dall’ambiente acquatico partì la loro lenta, progressiva conquista dell’ambiente terrestre attraverso l’adattamento che li avrebbe trasformati in piante, dotate di radici, tronchi e rami, foglie.
Ci erano voluti dieci anni, dalla prima comparsa nel Mediterraneo orientale, perché arrivasse nel mare italiano, a Lampedusa.
Il suo nome comune in diverse lingue compreso l’italiano la associa alle Gorgoni. E una di esse, Euriale, è evocata dall’ordine degli Euriali a cui appartiene. Ma certamente non è un mostro, come venivano considerate le figure mitologiche dalla chioma formata da serpenti. Tutt’altro.
A loro non rinuncia mai. E ogni volta che si trasferisce in una conchiglia più grande, si premura di approntare una sistemazione adeguata nella nuova casa anche per le sue fedeli compagne di viaggio. E di vita. Le uniche con cui accetta di condividere lo spazio “domestico” nel quale notoriamente non ama intrusioni, neppure da parte dei suoi simili.
Si era ancora nel dopoguerra, quando lo scarico delle acque di sentina di qualche nave proveniente dall’Oceano Atlantico affidò al Mediterraneo una nuova specie di granchio che nessuno conosceva. E di cui ancora a lungo si sarebbe ignorata la presenza nella laguna di Grado, in Alto Adriatico, dove era comparso per la prima volta nel lontano 1949. Nulla lasciava presagire allora e neppure nei decenni seguenti che il Granchio blu, nome scientifico Callinectes sapidus, settant’anni dopo si sarebbe rivelato un vero e proprio flagello, capace di stravolgere interi ecosistemi e di annientare una delle specie animali di cui è predatore, la preziosa vongola dalla quale dipende l’economia di tante aree della costa adriatica.
Dopo tanti anni di silenziosa, anonima presenza nelle lagune dell’Italia nord-orientale, riconosciuto solo nel 1993 ma ancora apparentemente innocuo, il granchio nuotatore, come pure viene chiamato, ha iniziato a moltiplicarsi in modo esponenziale a partire dal 2010, dando inizio a una diffusione velocissima, che lo vede ora stanziale in quasi ogni parte d’Italia, anche se i danni maggiori li sta facendo nell’Adriatico tra Friuli, Veneto ed Emilia-Romagna. Una proliferazione incontrollabile da ricondurre all’innalzamento delle temperature a terra e a mare, che hanno portato al livello massimo la prolificità della specie. Originaria dell’Oceano Atlantico occidentale, dove è presente dalla costa statunitense fino all’Argentina, e in particolare nel Golfo del Messico. Orami insediata, tuttavia, oltre che nel Mediterraneo, anche nel Mar Baltico, nel Mar Nero, nel Mare del Nord e nel Mar del Giappone. Un areale immenso, che si incrementa a vista d’occhio.
Crostaceo della famiglia Portunidae, il granchio blu si identifica anche nel nome con la sua colorazione più vivace e appariscente, il blu di alcune parti delle zampe e delle chele, nelle sole parti laterali per tutti gli individui e per i maschi anche nelle punte, che invece nelle femmine sono di uno squillante rosso aranciato. Altro elemento di dimorfismo sessuale è la forma dell’addome: nel maschio somiglia a una T, nelle femmine adulte è ovale rotondeggiante e triangolare nelle giovani. Come tutti decapodi, anche il granchio blu ha cinque paia di zampe di cui l’ultimo paio posto anteriormente, più lungo degli altri quattro, è trasformato in chele.
Il corpo del maschio raggiunge i venticinque centimetri di larghezza, quello della femmina, più piccolo, i venti. E la larghezza è il doppio della lunghezza. Il carapace presenta sia nella parte anteriore che in quella laterale nove paia di denti, di cui il più posteriore è allungato a formare una spina. Due denti triangolari sono pure sulla fronte.
Prolifico e capace di vivere nelle più varie condizioni
Il granchio blu vive in media tre o quattro anni, al massimo può raggiungere gli otto. Ha una grande capacità di adattamento sia alle temperature - dai 5 ai 35 gradi - sia al grado di salinità delle acque: da quelle più dolci degli estuari dei fiumi, a quelle più saline delle lagune e del mare, fino ad acque fortemente salate. I maschi preferiscono acque meno salate, le femmine più salate come i neonati. I granchi popolano habitat sabbiosi e fangosi, ma nella fase giovanile crescono al sicuro nelle praterie di fanerogame marine. La capacità di adattamento si riscontra anche nell’alimentazione, visto che è un animale onnivoro, che si nutre di alghe, di crostacei, anellidi, piccoli pesci e perfino di insetti. Ma apprezza particolarmente i bivalvi, tra cui cozze, ostriche e vongole. Nei casi di forte affollamento e di riduzione di altre prede, è normale il cannibalismo di esemplari adulti e più grandi rispetto ai piccoli.
La specie è straordinariamente prolifica. Anche se le femmine si accoppiano solo una volta nella vita, dopo l’ultima muta, mentre i maschi più volte. Ogni femmina depone dalle settecentomila agli otto milioni di uova e lo fa spostandosi in tratti di mare con maggior livello di salinità, perché è la condizione ideale per le larve che nascono dopo il periodo di incubazione della durata tra i quattordici e i diciassette giorni.
La grande capacità riproduttiva del granchio blu, unitamente alla varietà di condizioni in cui gli è possibile vivere anche nel Mediterraneo, hanno fatto sì che questo granchio alieno riuscisse a insediarsi stabilmente in aree costiere sempre più ampie e con popolazioni sempre più numerose, che i predatori naturali – pesci, tartarughe marine e uccelli – non riescono a contenere. E vale anche per il predatore principale, ovvero l’uomo, tanto che ormai gli eserti concordano sull’impossibilità di eradicare ormai il granchio blu dal nostro mare.
Eppure, si tratta di una specie che rappresenta un problema sempre più serio per l’impatto estremamente distruttivo che ha sull’ambiente. Dove si moltiplica il granchio arriva il deserto, vista la voracità con cui annienta le specie di cui si nutre, colpendo in particolare gli allevamenti di vongole in Adriatico. Negli ultimi anni, i granchi hanno determinato una riduzione di oltre il 70 per cento della produzione di vongole nel Delta del Po, infliggendo un colpo durissimo all’intero comparto economico e all’occupazione che vi ruota intorno.
Per cercare di contrastare l’emergenza granchio blu sono stati previsti investimenti specifici, mirati a sostenere gli allevatori/pescatori di vongole e a finanziare ricerche sui granchi e azioni specifiche di contrasto. Il tentativo di contenere la moltiplicazione dei crostacei, trasformando essi stessi in un prodotto commerciale per il consumo umano, non ha avuto i risultati sperati. Se, infatti, il granchio è considerato una leccornia nei Paesi atlantici di cui è originario, in Italia e in Europa non ha avuto finora altrettanto successo. Per cui la perdita delle produzioni di vongole non è stata compensata dalla commercializzazione dei granchi, come si auspicava.
Tra le ipotesi di contrasto alle quali si continua a lavorare, vi è la ricerca di predatori naturali in grado di contenere le popolazioni in crescita. E le notizie più recenti segnalano con interesse la possibilità che il polpo comune (Octopus vulgaris) possa diventare un efficace nemico, in grado di ripristinare un minimo di equilibrio lì dove il crostaceo blu lo ha compromesso. Riuscirà a portare a buon fine l’impresa, il campione dai lunghi tentacoli?
Sono i numeri che si leggono sulle cassette nelle pescherie e su tutte le confezioni di prodotti ittici. Stabiliti dalla Fao (Food and Agricolture Organization), l’organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura, per indicare le diverse aree di pesca negli oceani e nei mari interni.
In Sardegna, la pianta del mare è diventata nutrimento delle piante a terra. Si chiama “Posidonia Garden” ed è un progetto innovativo ed efficace di trasformazione della Posidonia secca spiaggiata in composti per orti e giardini.
Per decenni la foca monaca (Monachus monachus) è stata praticamente un fantasma, protagonista di qualche avvistamento in mare aperto tanto raro da meritare annunci ufficiali e titoli di giornale in grande evidenza.
L’elemento che più lo distingue anche all’occhio meno esperto, tanto da entrare nel suo nome comune, è un ciuffo di penne ricurve sul capo che fa parte della livrea nuziale del maschio.
Il volo è lungo e impegnativo, la ricerca spasmodica. Ogni giorno, quando il colore della notte lascia spazio al primo chiarore dell’alba, fino al calar del sole che inonda d’oro la superfice del mare.
Nastri delicatissimi, disposti a spirale, formano matasse trasparenti bianco-giallastre che risaltano sulla scura roccia, in punti riparati e ombrosi.
Una grande opera destinata a rivoluzionare la navigazione, il commercio internazionale e l’economia mondiale.
Il suo squillante color arancione si distingue inconfondibilmente sulle pareti delle grotte sommerse o sulle rocce popolate da coralli, gorgonie e da altri animali caratteristici del coralligeno.
Se non fosse sempre in movimento, mentre esplora la battigia con il lungo becco alla ricerca di cibo, la livrea e le dimensioni renderebbero impossibile distinguerlo nella distesa di sabbia.
Accostandola all’orecchio si sente il respiro del mare. Il dio Tritone la portava sempre con sé, suonandola per placare il mare in burrasca e per annunciare l’arrivo del padre Posidone, il dio del mare.
Ė una specie vegetale che vive da oltre cento milioni di anni nel mare, ma non è un’alga. E sebbene il suo nome faccia riferimento all’oceano, è diffusa solo del Mediterraneo, dove è presente ovunque nella fascia costiera.
Era il 1980 quando fu avvistata nelle acque di Israele, per la prima volta nel Mediterraneo. E da allora la sua è stata una lenta, ma progressiva espansione verso occidente, favorita specialmente negli anni recenti dall’aumento delle temperature del mare, che sta colpendo in modo particolare proprio il Mediterraneo.
L’areale di diffusione originario era già amplissimo: dal Mar del Giappone all’Australia, dalla Polinesia al sud-est asiatico, praticamente tutto il Pacifico tropicale e sub-tropicale e il Mar Rosso.
Un grande ombrello protettivo e cibo, sempre e comodamente a disposizione.
«Garantire uno stato di conservazione favorevole per i mammiferi marini ed il loro habitat proteggendoli dall’impatto negativo delle attività umane», è con questa finalità che dalla fine del secolo scorso tre Paesi confinanti del Mediterraneo settentrionale - Italia, Francia e Principato di Monaco - hanno unito le forze per creare la più grande area marina protetta del Mediterraneo, interamente dedicata ai mammiferi marini che la frequentano, numerosi sia per il numero delle specie interessate che per il numero degli esemplari.
Uno dei centri mondiali dello studio dei cambiamenti climatici a livello globale e del loro impatto sugli ambienti marini è il Golfo di Napoli, in virtù delle particolari caratteristiche geologiche di alcune sue aree.
Quel colore vivido, inconfondibile e unico per la sua intensità è impossibile non notarlo. Ed è sicuramente la prima caratteristica della specie che colpisce lo sguardo.
Già Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia citava la salamoia di menole, usata a scopo terapeutico mescolata al miele, per la cura di ulcere nella bocca.
Viene utilizzato pesce azzurro, quindi la sarda, l’acciuga, lo sgombro e l’alaccia (Sardinella aurita), della stessa famiglia della sardina, rispetto alla quale è più grande.
Ė un modo antico e gustoso di consumare pesci poveri e con scarso valore commerciale da parte dei pescatori di Porto Cesareo, nelle pause delle lunghe battute di pesca, lontano da casa.
Negli anfratti rocciosi dell’isolotto di Vivara, selvaggi e riparati, possono nidificare indisturbati e contribuire alla sopravvivenza della loro specie, tuttora in pericolo.
Ė del 22 novembre 2024 la pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica “Science” di uno studio che ha accertato che gli habitat in cui vivono cetacei nei vari mari del mondo corrispondono al 92 per cento alle rotte marittime più utilizzate.
L’Accordo sulla conservazione dei cetacei del Mar Nero, del Mar Mediterraneo e dell’Area atlantica attigua a ovest dello Stretto di Gibilterra, noto più semplicemente come ACCOBAMS, firmato il 24 novembre 1996 a Monaco e operativo dal 1° giugno 2001, è dedicato alla conservazione e tutela delle 28 specie di cetacei che si muovono nelle acque oggetto dell’intesa e vincola in tal senso i 24 Stati firmatari, Italia compresa.
Da secoli è l’elemento distintivo della cena della vigilia di Natale degli abitanti di Cetara.
Pescare in maniera sostenibile significa utilizzare le risorse in modo da assicurarne la conservazione e, dunque, la possibilità di uno sfruttamento futuro, garantendo nel tempo il lavoro dei pescatori, senza compromettere l'ambiente e valorizzando al meglio la capacità delle risorse di riprodursi e rinnovarsi.
Le Alghe brune
Se ne contano circa cinquanta specie. Presenti in ogni mare, ma soprattutto nel Mediterraneo, nell’oceano Pacifico e nell’Indiano. Si tratta delle alghe brune del genere Cystoseira, artefici di un habitat fondamentale per la biodiversità negli ambienti rocciosi costieri, dove proliferano a bassa profondità, perché hanno bisogno di luce per la fotosintesi clorofilliana. Il colore che le contraddistingue è legato come per tutte le alghe brune alla Fucoxantina: la diversa gradazione e l’intensità del colore marrone dipendono dalla quantità di pigmento presente nel vegetale. Che con il suo sviluppo a cespuglio, forma sott’acqua, sul sostrato roccioso, delle vere e proprie foreste, estese su grandi superfici.
Le foreste sommerse di Cystoseira rappresentano un ecosistema dove trovano condizioni di vita favorevoli le più varie specie di animali marini, comprese molte ittiche che vi trovano rifugio e vi crescono i loro giovanili. Ma le estensioni di Cystoseira garantiscono numerosi altri benefici lì dove ancora sono presenti. Infatti, svolgono una fondamentale funzione di mitigazione degli effetti del moto ondoso di protezione delle coste dall’erosione. Inoltre, producono ossigeno e catturano notevoli quantitativi di CO2. Svolgono, insomma, un ruolo simile a quello della Posidonia, preziosissimo per la vita e la salute del mare.
Eppure, le foreste sono in regresso quasi ovunque, compreso il Mediterraneo, a causa degli effetti dell’antropizzazione: inquinamento, urbanizzazione, cambiamenti climatici e diffusione di specie aliene nel Mediterraneo. Con una grave perdita di biodiversità e con conseguenze legate alla minore produzione di ossigeno e speculare minore riduzione di anidride carbonica.
Ė in considerazione del rischio che corrono gli ecosistemi legati alle foreste macroalgali che sono in corso una serie di interventi sperimentali per il loro monitoraggio e, soprattutto, per il reimpianto in alcune Aree Marine Protette italiane.
Dal 2020 si sta realizzando un progetto nell’Amp toscana delle Secche della Meloria, dove le foreste di Cystoseira hanno subito un forte ridimensionamento. Per tentare di invertire la tendenza in atto, si è iniziata una complessa opera di reimpianto, prelevando dei talli (così si chiamano i “corpi” delle alghe) nell’Amp di Capraia per trapiantarli nella parte settentrionale della zona A della Meloria. Ne è seguita un’azione di monitoraggio, al fine di verificare lo stato di salute e di accrescimento delle alghe trapiantate. I controlli non hanno rilevato fallimenti, ma un buono stato delle alghe trasferite in altro luogo, che stanno crescendo regolarmente, con la prospettiva, non appena saranno in grado di riprodursi, di allargare progressivamente l’area colonizzata, ripristinando la foresta perduta.
Altra sperimentazione di ripristino è in corso con il progetto Life REEForest nelle due Aree Marine Protette del Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni, a Santa Maria di Castellabate e a Baia degli Infreschi e della Masseta, nell’Area Marina Protetta di Bergeggi in Liguria e nell’Area Marina Protetta sarda Penisola del Sinis Mal di Ventre, oltre all’Amp dell’isola greca di Giaros. Con il monitoraggio dell’ISPRA, dei gruppi di lavoro hanno provveduto alla reintroduzione di migliaia di talli di Cystoseira delle specie crinitophilla e corniculata. Intervento sperimentale, che sta dando buoni risultati sul campo, finalizzato a elaborare delle linee guida valide per operare anche in altre zone e a sensibilizzare l’opinione pubblica sul regresso delle foreste e sul loro valore. Un’azione che s’inserisce nelle politiche europee restauro attivo e che si collega al piano di monitoraggio delle foreste nell’ambito del Decennio delle Nazioni Unite 2021/2030 sul ripristino degli ecosistemi.
Parente prossimo delle gorgonie, con cui condivide numerose caratteristiche come cnidario antozoo ottocorallo e alcionaceo,
Sono ancorati alla roccia, sul fondale duro che rappresenta il loro habitat di riferimento, alle più diverse profondità.
Ci sono i vegetali, come le alghe rosse. E ci sono gli animali, come i briozoi, gli anellidi e gli antozoi. Tante specie differenti, tutte bentoniche e con un’altra caratteristica comune: la capacità di costruire delle strutture di carbonato di calcio sui fondali marini.
Il nome in inglese “gold coral” fa riferimento al prevalere del colore giallo chiaro che caratterizza le colonie di polipi di Savalia Savaglia, fino a qualche tempo fa denominato “Savaglia savaglia”,
Sono tra le creature più belle e spettacolari del mondo sommerso. Con i loro rami colorati, ondeggianti tanto da suggerire il nome di “ventagli di mare”, sono stati anticamente scambiati per dei vegetali, prima di essere riconosciuti come organismi animali, la cui classificazione è stata oggetto di revisione, in base ai risultati di studi molecolari più recenti.